venerdì 1 luglio 2011

Conosci il veleno?



Nelle persone che incontro e che sento parlare, colgo una serie di intuizioni che indica complessivamente un bisogno (ancor prima che una voglia) di cambiamento: l'avvertire più o meno esplicito che c'e' qualcosa che non va nella società e nel modo in cui viviamo.
E non parlo di considerazioni astratte frutto di lunghe analisi e riflessioni contorte, ma dico che appare pian piano la consapevolezza che ci sia qualcosa di storto nella propria individuale e soggettiva vita.
Si avverte che non è più "bello" quel che un tempo dava soddisfazione, ma viene quasi subìto come inevitabile all'interno della vita sociale in cui si è immersi. E' come quando in un grande supermercato lì per lì non sappiamo decidere tra una titanica varietà in mostra, ma sappiamo che siamo costretti a prendere una sola cioccolata da comprare. E più il mercato diventa iper più la scelta si fa soffocante.

Ma nonostante questo, complessivamente, non avviene una transizione, cioè quel cambio di stato che, con un'immagine, vedo analogo al passaggio tra solido e liquido dell'acqua.
Anche per quel passaggio c'e' bisogno di tempo e di energia, e anche in quel caso se ci sono freni al processo, il passaggio può rallentare o addirittura non avvenire.
I freni che mi sembra di cogliere a questa ventura transizione, li vedo integrati fra loro, più o meno a qualsiasi livello socio-economico.
Mi riferisco alla paura, e alla conseguente rimozione, declinata in tre ambiti: la paura della perdita di benefici acquisiti, la paura della perdita dell’autorità conquistata e, non ultima e più intima, la paura della perdita di fiducia e autostima.

Per spiegarmi, prendiamo il caso di un padre di famiglia che possieda un’automobile con tutti i confort, e sia bella, potente e blasonata (ma le stesse considerazioni possono essere traslate su un'intera industria o su un accordo politico).
L'uomo avverte che c'è qualcosa che non va nel mantenere e godere di questo bene, ma ha compiuto tanti sacrifici che gli sembra quasi dovuto possederla, anche se non la sta godendo come si immaginava nel tempo in cui si è impegnato duramente per ottenerla.
Poniamo che il suo figlio maggiore e maggiorenne sollevi la questione che quella macchina non sia necessaria perché inefficiente, inquinante e costosa.
Poniamo che consigli con forza al padre che non ha più senso mantenerla, e che proponga di prendere al suo posto un'utilitaria elettrica.
Come reagisce il buon padre di famiglia? Avrà probabilmente paura di perdere i benefici e lo status sociale legato alla macchina come mezzo e come simbolo (perdita dei benefici acquisiti).
Avrà per questo paura di perdere potere e influenza all'interno della sua famiglia se le decisioni sui suoi beni vengono prese da qualcun'altro, sia pure suo figlio (perdita dell'autorità conquistata).
Avrà paura anche di mettere in discussione tutto quello che ha significato quella macchina e tutti i suoi sforzi per ottenerla: significherebbe ammettere che si è impegnato per qualcosa che rischia di sfumare dall'orizzonte di senso che ha radicato in se stesso e dai valori in cui ha creduto finora (paura della perdita di fiducia e autostima).
Detto in altro modo, rispetto alla scelta di passare da una macchina lussuosa a una discutibile macchinetta elettrica, il nostro eroe si chiede: "Posso andare contro i miei interessi, posso sputare nel piatto in cui mangio?". L'intuizione che appare risponde: "Sì, perché è necessario". E questa risposta spaventa.
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