giovedì 2 febbraio 2012

Fare le cose facili

Quando conosco delle persone nuove, sbrigo con cortesia la pratica delle presentazioni.
Faccio tutto per bene credo, ma invariabilmente il nome che ascolto passa dalla mia memoria senza fermarsi.
Non lo ricordo per più di qualche attimo, neanche se me lo ripete più di una volta.
Nel corso delle prime battute che ci scambiamo, ci si chiede a vicenda: "Che lavoro fai?", oppure: "Di che ti occupi?".
Subito dopo aver sentito il nome (e averlo dimenticato), per saperne di più, gli chiediamo che mestiere fa'.
E' tra le prime cose il bisogno di classificarci con un'etichetta (e per inciso è un argomento principe per rompere il ghiaccio).
Ebbene questa seconda informazione rimane nella memoria molto più a lungo. Non c'e' bisogno di molto sforzo; possiamo dimenticarne il nome, ma se vogliamo riferirci a una persona appena conosciuta ci verrà il mente il suo lavoro. Diremo qualcosa tipo: "Non ricordo il suo nome, ma mi riferisco al pizzaiolo".
Conoscere anche solo superficialmente una persona richiede tempo e impegno, sapere di qualcuno "chi è" rappresenta un processo (a volte un'avventura), piuttosto che un dato certo da acquisire.
Per questo è difficile.
Molto più facile è sapere in che categoria è catalogata socialmente, e da li partire con il nostro bagaglio culturale e personale di luoghi più o meno comuni, per farci un'idea della persona che abbiamo davanti.
Sapere il nome di qualcuno non è sapere chi è, come non lo è sapere che lavoro fa', ma ci da la sensazione di sapere qualcosa di importante e qualificante, e in più è un'informazione facile da ottenere e da elaborare.
Ma è né più né meno che sapere di che colore ha gli occhi, se è solo questo che sappiamo per il momento...
Eppure ci ricordiamo il lavoro che svolge uno sconosciuto molto di più del nome che porta.
Forse c'entra il fatto che i nomi sono molto più numerosi dei mestieri, e le idee che ci siamo già fatti sui lavori sono tante, mentre da un nome fra gli altri che informazioni possiamo dedurne?
Insomma è facile, funzionale ed efficiente chiedere: "Che lavoro fai?", piuttosto che affrontare il vasto tema del: "Chi sei?".

C'è un'altra cosa che mi viene in mente funzionare in modo simile.
E' cercare di aumentare il numero dei soldi che guadagniamo piuttosto che riempire la nostra vita con soddisfazioni e gioie delle più varie.
E' più facile contare un fascio di banconote che contare i successi e insuccessi della nostra vita.
E' più facile andare al lavoro in un clima alienante e insalubre e contare la paga che ci serve per vivere,
che andare per prati e campagne coltivando cibo.
E' più facile dire un numero che una sensazione.
E' più facile contare che dare e ricevere sorrisi.
E' tanto più facile fare la prima delle seconde, che l'avere successo indica nel linguaggio comune proprio fare tanti soldi.
E quelle che potrebbero essere soddisfazioni da raggiungere nella vita in genere, lasciano il posto alle più funzionali soddisfazioni economiche.
Infatti si calcola il Prodotto Interno Lordo e non, per esempio, la Felicità Interna Lorda.
Non perché sia un alto valore da perseguire al costo di molti sacrifici.
Solo perché è più facile.

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mercoledì 31 agosto 2011

Pubblicità con stile


Ho un’idea. Creare un'agenzia pubblicitaria che realizzi e gestisca campagne pubblicitarie in cui i "prodotti" siano stili di vita compatibili con l'ambiente.

La pubblicità che conosciamo non solo fa parte della nostra quotidianità, ma evidentemente funziona egregiamente se vengono spesi tantissimi soldi per realizzarla. Ma se la tecnica pubblicitaria nel suo complesso è così efficace, per esempio, nell'aumentare le vendite di una macchina, un profumo o un detersivo, perchè non usare la stessa forza nel promuovere un prodotto particolare di cui abbiamo bisogno: ossia degli "stili di vita" compatibili con l'ambiente? Insieme ai prodotti comunemente reclamizzati da ogni parte, ci vengono proposti anche comportamenti, atteggiamenti e azioni che rendono ancora più desiderabile un certo prodotto e invidiabile chi lo usa. Ma se pubblicizzassimo stili di vita corretti e sostenibili, con la stessa tecnica, con gli stessi mezzi e con la stessa penetrazione, anche questi sarebbero più desiderabili e chi li adotta più invidiabile...Qualcuno potrebbe obbiettare che esiste già la pubblicità progresso per cose di questo genere, ma in realtà quella già presente è una nicchia ben riconoscibile e a cadenza troppo sporadica per avere lo stesso successo di quella commerciale. L'idea consiste in un'impresa pubblicitaria a tutti gli effetti, la cui capillarità, efficacia e durata sia paragonabile a quella della comune pubblicità. Se funziona per una bibita perchè non usarla per l'"uso dei rifiuti", o per "andare in bicicletta"?

Le risorse del pianeta non sono infinite, e non possiamo continuare a credere che possiamo crescere all'infinito mantenendo comportamenti quotidiani che non fanno che accelerare la fine di quelle utilizzabili. Detto in altro termini, la questione è far crescere la cura dell'ambiente dalle stesse persone che lo vivono, e aumentare la serenità di tutti progettando un futuro che non porti ad un vicolo cieco ambientale. E per questo serve urgentemente convincere una massa critica di persone ad agire per il proprio bene e per il proprio stesso vero interesse.

A trarne beneficio sarebbero l'ambiente, le persone che lo vivono, e non ultime tutte quelle realtà aziendali e private che offrono prodotti e servizi compatibili con gli stili di vita che verrebbero pubblicizzati.

Per cominciare naturalmente servono capitali da investire per avviare una società pubblicitaria competitiva: collaboratori, strumenti, competenze del settore, consulenti, testimonial: in breve tutto quello che già fa funzionare così bene le società attualmente sul mercato. Si tratta di utilizzare lo stato dell'arte della tecnologia, e delle tecniche già disponibili, e utilizzarle per un altro scopo rispetto a quello attuale.

Una volta che abbia preso piede con successo, la società si finanzierebbe con le commissioni di tutti quei soggetti che offrono beni e servizi compatibili con gli stili di vita pubblicizzati; gli stessi, anche se piccoli, potrebbero consorziarsi per ciascuna campagna. Una volta che gli stili di vita adottati saranno "appetibili" da un numero sufficiente di persone, i produttori finora non interessati correranno ai ripari riconvertendosi, e si rivolgerebbero per le competenze acquisite a questa nuova società, che in questo modo aumenterebbe il proprio portafoglio clienti, e contestualmente l'ambiente ne beneficerebbe all'interno di un circolo virtuoso.

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lunedì 8 agosto 2011

Alcuni furbi


Si credono squali, ma sono soltanto cannibali che mangiano la loro stessa carne.
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martedì 2 agosto 2011

Un semaforo per ciechi


Poniamo che ci sia una disfunzione ottica che renda ciechi al colore rosso.
Chi è cieco al rosso non riesce ad usare, o anche semplicemente a capire, ad esempio, un semaforo.
Poniamo che questa situazione sia molto diffusa tra la popolazione, e immaginiamo cosa accadrebbe ad un qualsiasi incrocio regolato da un normale semaforo...
Nel caso di verde, si attraverserebbe tranquilli, nel caso di giallo si passerebbe con più o meno prudenza accelerando o rallentando a seconda delle inclinazioni personali.
E nel caso di rosso? Semplicemente il semaforo verrebbe percepito come spento, non funzionante, addirittura inutile. E l'incrocio da attraversare verrebbe tentato come se il semaforo fosse giallo, ma con la certezza di non essere sul lato della strada che ha il verde.
In una situazione del genere la confusione aumenterebbe come gli incidenti; forse fioccherebbero teorie, tesi e prassi più o meno accreditate e consolidate per sopravvivere a semaforo "spento" (ma semplicemente rosso).

Poniamo adesso che il rosso rappresenti il concetto di limite, sia esso di qualsiasi genere: fisico, personale, ambientale, normativo, strutturale, ecc; la strada, con i suoi incroci, rappresenti la crescita economica, e guidare la volontà di crescere. Crescere a prescindere, crescere ad ogni costo, crescere come dogma e ideologia consolidata da un paio di secoli almeno, in cui qualsiasi impedimento è illusoriamente sempre aggirabile o superabile.

Secondo me nelle recenti crisi di tipo ambientale, alimentare e finanziario, ci sono ancora tante persone cieche al rosso.
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venerdì 1 luglio 2011

Conosci il veleno?



Nelle persone che incontro e che sento parlare, colgo una serie di intuizioni che indica complessivamente un bisogno (ancor prima che una voglia) di cambiamento: l'avvertire più o meno esplicito che c'e' qualcosa che non va nella società e nel modo in cui viviamo.
E non parlo di considerazioni astratte frutto di lunghe analisi e riflessioni contorte, ma dico che appare pian piano la consapevolezza che ci sia qualcosa di storto nella propria individuale e soggettiva vita.
Si avverte che non è più "bello" quel che un tempo dava soddisfazione, ma viene quasi subìto come inevitabile all'interno della vita sociale in cui si è immersi. E' come quando in un grande supermercato lì per lì non sappiamo decidere tra una titanica varietà in mostra, ma sappiamo che siamo costretti a prendere una sola cioccolata da comprare. E più il mercato diventa iper più la scelta si fa soffocante.

Ma nonostante questo, complessivamente, non avviene una transizione, cioè quel cambio di stato che, con un'immagine, vedo analogo al passaggio tra solido e liquido dell'acqua.
Anche per quel passaggio c'e' bisogno di tempo e di energia, e anche in quel caso se ci sono freni al processo, il passaggio può rallentare o addirittura non avvenire.
I freni che mi sembra di cogliere a questa ventura transizione, li vedo integrati fra loro, più o meno a qualsiasi livello socio-economico.
Mi riferisco alla paura, e alla conseguente rimozione, declinata in tre ambiti: la paura della perdita di benefici acquisiti, la paura della perdita dell’autorità conquistata e, non ultima e più intima, la paura della perdita di fiducia e autostima.

Per spiegarmi, prendiamo il caso di un padre di famiglia che possieda un’automobile con tutti i confort, e sia bella, potente e blasonata (ma le stesse considerazioni possono essere traslate su un'intera industria o su un accordo politico).
L'uomo avverte che c'è qualcosa che non va nel mantenere e godere di questo bene, ma ha compiuto tanti sacrifici che gli sembra quasi dovuto possederla, anche se non la sta godendo come si immaginava nel tempo in cui si è impegnato duramente per ottenerla.
Poniamo che il suo figlio maggiore e maggiorenne sollevi la questione che quella macchina non sia necessaria perché inefficiente, inquinante e costosa.
Poniamo che consigli con forza al padre che non ha più senso mantenerla, e che proponga di prendere al suo posto un'utilitaria elettrica.
Come reagisce il buon padre di famiglia? Avrà probabilmente paura di perdere i benefici e lo status sociale legato alla macchina come mezzo e come simbolo (perdita dei benefici acquisiti).
Avrà per questo paura di perdere potere e influenza all'interno della sua famiglia se le decisioni sui suoi beni vengono prese da qualcun'altro, sia pure suo figlio (perdita dell'autorità conquistata).
Avrà paura anche di mettere in discussione tutto quello che ha significato quella macchina e tutti i suoi sforzi per ottenerla: significherebbe ammettere che si è impegnato per qualcosa che rischia di sfumare dall'orizzonte di senso che ha radicato in se stesso e dai valori in cui ha creduto finora (paura della perdita di fiducia e autostima).
Detto in altro modo, rispetto alla scelta di passare da una macchina lussuosa a una discutibile macchinetta elettrica, il nostro eroe si chiede: "Posso andare contro i miei interessi, posso sputare nel piatto in cui mangio?". L'intuizione che appare risponde: "Sì, perché è necessario". E questa risposta spaventa.
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